Il locatario di un immobile che voglia ottenerne la dichiarazione di usucapione è tenuto a darne prova rigorosa

Cassazione – Sezione seconda – sentenza 17 giugno – 5 ottobre 2010, n. 20670
Presidente Schettino – Relatore Correnti
Ricorrente V.

Svolgimento del processo

Con citazione del 19.12.1991 l’INPDAI chiamava in giudizio G.V. per far accertare che era detentore del piano settimo e della cantina dello stabile di via Carducci 34 in Milano in virtù di locazione del 18.1.72 e/o occupante senza titolo, con condanna al rilascio ed ai danni.
Esponeva che, acquistato lo stabile nel 1969, nel 1972 aveva concesso in locazione a V.V.  un appartamento al sesto piano con vani e terrazze al settimo, collegati al piano inferiore da una scala a chiocciola, oltre ad una cantina, e che, dopo il decesso della V., era succeduto nel rapporto il figlio G.V., che contestava la domanda e chiedeva riconvenzionalmente l’usucapione dei locali e terrazze al settimo piano e di due cantine.
Il tribunale rigettava la domanda riconvenzionale e quella attrice di rilascio.
Proponeva appello V., resisteva l’INPDAI e la Corte di appello di Milano, con sentenza 744/04, rigettava l’appello e compensava le spese, osservando che il V. in primo grado non aveva individuato le cantine demandandone l’individuazione alla ctu che non può essere sostitutiva della prova né aveva fornito alcuna prova per dimostrare l’usucapione, la modifica della detenzione in possesso e la interversione. L’eccezione di giudicato era stata esattamente respinta, in quanto la sentenza del Pretore di Milano n. 3669/92 aveva stabilito sull’equo canone del sesto piano e l’oggetto del giudizio era la proprietà del settimo piano collegato al sesto, detenuto in locazione, comprendente le pertinenze; l’asserzione che la scala di collegamento era stata realizzata dalla madre successivamente all’instaurarsi della locazione era smentita dagli accertamenti e comunque avrebbe configurato un possesso clandestino e violento.
Ricorre V. con cinque motivi, resiste l’INPS.
Le parti hanno presentato memorie ed il ricorrente anche brevi note in replica alle conclusioni del PG.

Motivi della decisione

Preliminarmente va disattesa l’eccezione di inesistenza della notifica e nullità del ricorso per Cassazione, ritualmente notificato all’INPDAI, parte del giudizio di appello, presso il procuratore costituito, nel domicilio eletto risultante dalla sentenza.
Tale collegamento funzionale esclude l’inesistenza, trattandosi eventualmente di nullità suscettibile di sanatoria (Cass. 2.7.2004 n. 12150) ed in effetti sanata dalla costituzione dell’INPS, con la conseguenza che la notifica è andata ad effetto.
Con i primi quattro motivi si deduce insufficiente e contraddittoria motivazione circa la mancata individuazione delle cantine (primo), la eccepita usucapione (secondo), l’assenza di giudicato (terzo in relazione agli artt. 12 e ss l. 392/1978 e 2909 cc), l’onere della prova che le terrazze ed i locali del sottotetto e la cantina non fossero pertinenze (quarto in relazione all’art. 818 cc), e col quinto motivo si lamenta violazione di leggi in relazione all’art. 112 cpc circa l’affermazione di una ipotesi di possesso clandestino e violento, in quanto tale eccezione non fu mai sollevata dall’ente proprietario.
Le doglianze sono palesemente infondate.
Quanto al vizio di motivazione, la censura con la quale alla sentenza impugnata s’imputino i vizi di cui all’art. 360 n. 5 cpc deve essere intesa a far valere, a pena d’inammissibilità comminata dall’art. 366 n. 4 cpc in difetto di loro puntuale indicazione, carenze o lacune nelle argomentazioni, ovvero illogicità nell’attribuire agli elementi di giudizio un significato fuori dal senso comune, od ancora mancanza di coerenza tra le varie ragioni esposte per assoluta incompatibilità razionale degli argomenti ed insanabile contrasto tra gli stessi; non può, per contro, essere intesa a far valere la non rispondenza della valutazione degli elementi di giudizio operata dal giudice del merito al diverso convincimento soggettivo della parte, ed, in particolare, non si può con essa proporre un preteso migliore e più appagante coordinamento degli elementi stessi, atteso che tali aspetti del giudizio, interni all’ambito della discrezionalità di valutazione degli elementi di prova e dell’apprezzamento dei fatti, attengono al libero convincimento del giudice e non ai possibili vizi dell’iter formativo di tale convincimento rilevanti ai sensi della norma stessa.
La sentenza, alle pagine dodici, tredici, quattordici, quindici, ha correttamente esaminato i motivi di gravame escludendo l’usucapione, il giudicato, l’interversione nel possesso ed ha dedotto la genericità delle censure svolte, rilevando che il V. non aveva indicato le cantine ma demandato alla ctu la individuazione, che la sentenza del Pretore n. 3669/92 aveva solo statuito sull’equo canone per l’appartamento al sesto piano, che nel contratto di locazione non erano state escluse le pertinenze, che la realizzazione ad opera della madre del V.della scala di collegamento tra i due piani dopo l’instaurarsi della locazione era smentita e comunque avrebbe costituito possesso clandestino e violento.
Di fronte ad una motivazione logica e coerente, conforme ad un consolidato orientamento di questa Corte Suprema sui requisiti indispensabili per il possesso ad usucapione, il diverso avviso del ricorrente, con censure in parte su aspetti marginali e non decisivi, è irrilevante.
Questa Corte suprema ha da tempo statuito che, per la configurabilità del possesso “ad usucapionem”, è necessaria la sussistenza di un comportamento continuo, e non interrotto, inteso inequivocabilmente ad esercitare sulla cosa, per tutto il tempo all’uopo previsto dalla legge, un potere corrispondente a quello del proprietario o del titolare di uno “ius in re aliena” (“ex plurimis” Cass. 9 agosto 2001 n. 11000), un potere di fatto, corrispondente al diritto reale posseduto, manifestato con il compimento puntuale di atti di possesso conformi alla qualità e alla destinazione della cosa e tali da rilevare, anche esternamente, una indiscussa e piena signoria sulla cosa stessa contrapposta all’inerzia del titolare del diritto (Cass. 11 maggio 1996 n. 4436, Cass. 13 dicembre 1994 n. 10652).
Non è denunciabile, in sede di legittimità, l’apprezzamento del giudice di merito in ordine alla validità degli eventi dedotti dalla parte, al fine di accertare se, nella concreta fattispecie, ricorrano o meno gli estremi di un possesso legittimo, idoneo a condurre all’usucapione (Cass. 1 agosto 1980 n. 4903, Cass. 5 ottobre 1978 n. 4454).
Né può ipotizzarsi la violazione dell’art. 112 cpc circa l’inesistenza di una eccezione nel senso indicato da parte del proprietario, perché la Corte territoriale ha escluso la realizzazione della scala di collegamento dopo la locazione e, solo in via ipotetica e ad abundantiam, ha aggiunto che la circostanza “comunque configurerebbe un modo di acquisto del possesso clandestino e violento”.
Donde il rigetto del ricorso, con la conseguente condanna alle spese.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle spese liquidate in euro 3.900 di cui 3.700 per onorari, oltre accessori.

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