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Questo è il principio espresso dalla Suprema Corte, nella sentenza n. 2460/2021, emessa nella camera di consiglio della I Sezione dell’11 dicembre 2020.
Secondo la Suprema Corte, a seguito dell’istituzione del cd. “domicilio digitale” di cui all’art. 16 sexies del D. L. n. 179 del 18.10.2012, convertito con modificazioni in Legge n. 221 del 7.12.2012, come modificato dal D. L. n. 90 del 24.6.2014, convertito con modificazioni in Legge n. 114 dell’11.8.2014, le notificazioni e comunicazioni degli atti giudiziari, in materia civile, sono ritualmente eseguite -in base a quanto previsto
dall’art. 16 ter, comma 1, del D. L. n. 179 del 2012, modificato dall’art. 45-bis, comma 2, lettera a), numero 1), del D. L. n. 90 del 2014, convertito, con modificazioni, dalla Legge n. 114 del 2014, e successivamente sostituito dall’art. 66, comma 5, del D. Lgs. n. 217 del 13.12.2017, con decorrenza dal 15.12.2013- presso un indirizzo di posta elettronica certificata estratto da uno dei registri indicati dagli artt. 6 bis, 6 quater e
62 del D. Lgs. n. 82 del 2005, nonché dall’articolo 16, comma 12, dello stesso decreto, dall’articolo 16, comma 6, del D. L. n. 185 del 2008, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 2 del 2009, nonché il registro generale degli indirizzi elettronici, gestito dal Ministero della Giustizia e, quindi, indistintamente,
dal registro denominato INI-PEC e da quello denominato Re.G.Ind.E.”.
La Corte di Appello ha dunque errato, nel caso di specie, a ritenere nulla la notificazione dell’atto di impugnazione, che il ricorrente aveva eseguito presso un indirizzo di posta elettronica certificata dell’Avvocatura Distrettuale dello Stato estratto dal registro INI-PEC.
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