Consulenza legale e tributaria
Raramente mi avventuro, in questo blog, in questioni che non riguardino strettamente il diritto. Ma, in questi giorni, parlando con amici, colleghi, parti in mediazione e chiunque altro, ho sentito dire tante volte una frase, che mi torna sempre in testa, spesso impedendomi addirittura di prendere sonno, e con cui sono sempre meno d’accordo. La frase incriminata è la seguente: “l’Italia è un Paese morto”.
Ebbene, più ci penso e più questa rassegnazione mi fa rabbia. Ho avuto modo, negli ultimi tempi, di girare il nostro meraviglioso Paese in lungo e in largo, osservando le nostre bellissime città, i nostri splendidi borghi con tutta l’arte che il mondo ci invidia, ma soprattutto parlando con tante persone e osservandole attentamente.
Il primo luogo comune da sfatare è quello relativo al fatto che gli italiani non avrebbero voglia di lavorare. Questo è assolutamente falso: i miei connazionali lavorano molto di più di alcuni nostri “amici” che fanno parte di quella Unione Europea che non ha più nulla di quella di De Gasperi, e che invece ci vorrebbero sottomessi a loro (ricordo che nel 1992, quando qualcuno si inventò “Mani Pulite” eravamo la quinta potenza industriale al mondo, ed evidentemente a qualcuno questo non è andato bene). Faccio un esempio banale: a Roma, che è la mia città natale ed è ancora il centro principale dei miei interessi lavorativi insieme a Milano, da quanti anni non esiste più la pausa pranzo? Da quanti anni i negozi sono aperti per dodici o più ore, e i liberi professionisti (sacrificando vita familiare e personale), ne lavorano anche di più?
Quale Paese al mondo ha la nostra genialità, le nostre piccole, medie e grandi imprese (quelle che Prodi e i suoi successori non hanno regalato ai francesi)? Quale Nazione può vantare, pur in assenza quasi totale di infrastrutture (abissale, in questo senso, la differenza tra Nord e Sud), e in presenza di lacci, lacciuoli e tasse usuraie, un’imprenditorialità come la nostra, una voglia di continuare ad aprire nuove attività (anche semplici negozi), pur in questo quadro?
E allora, non facciamo il gioco di chi vorrebbe l’Italia – Paese pieno di assolute eccellenze, anche a livello di Università – una Nazione piena di gente rassegnata, che pensa solo a mandare i figli all’estero perché qui non vi sono possibilità. Le possibilità si creano. Naturalmente, e mi auguro che sia arrivato veramente il momento di una svolta, il merito va premiato, e quell’orribile meccanismo delle raccomandazioni (in cui, peraltro, Paesi che vorrebbero darci delle lezioni eccellono) va frenato in tutti i modi. E l’imprenditore va aiutato, con sgravi fiscali, aiuti a fondo perduto (il cui utilizzo controllare poi rigorosamente), non considerato come un delinquente, un evasore.
Resistiamo alla tentazione di lasciarci andare: siamo il Paese con il più grande patrimonio artistico al mondo (senza contare tutte le opere rubate da inglesi e francesi), il Paese che ha avuto Roma, il Paese della Ferrari, di Valentino, di Luxottica, di migliaia di imprenditori geniali. Non ci rassegniamo, non ci arrendiamo a chi vorrebbe l’Italia schiava di Nazioni che non hanno nulla, ma proprio nulla, più di noi. Costruiamo un futuro migliore per i nostri figli, e non costringiamoli a lasciare l’Italia.
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