Non presentarsi in mediazione può essere molto pericoloso!

Per il Tribunale di Pavia, in applicazione del D.lgs. 28/10 nella sua versione in vigore dal 30 giugno 2023, chi non partecipa al procedimento di mediazione, senza giustificato motivo, deve essere condannato al pagamento in favore dell’erario di una somma pari al doppio del contributo unificato.

Infatti, mentre la versione precedente della norma prevedeva la condanna al solo pagamento del contributo unificato, il nuovo art. 12 bis ha raddoppiato la sanzione. Peraltro, la norma specifica chiaramente che non si tratta di una valutazione discrezionale del Giudice, ma di un obbligo dello stesso.

Pertanto, prima di non presentarsi in una procedura di mediazione, occorre pensare bene alle conseguenze di tale comportamento!

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

IL TRIBUNALE DI PAVIA

SEZIONE TERZA CIVILE

in composizione monocratica, nella persona del Dott. Luciano Arcudi, sulle conclusioni prese all’udienza dell’8.11.2023, ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nella causa civile iscritta al n. di R.G. 981/2023, promossa da:

(…) (C.F.: (…) elettivamente domiciliata in Voghera (PV), via (…) presso lo studio degli Avv.ti (…) che la rappresentano e difendono in forza di procura in atti,

– ricorrente –

contro

(…) (C.F.: (…) elettivamente domiciliata in Voghera (PV), (…) presso lo studio dell’Avv. (…) che la rappresenta e difende in forza di procura in atti,

– convenuta –

Svolgimento del processo

1. – Tra le parti era concluso il 3.7.2019 contratto di locazione con il quale la resistente (…) concedeva in godimento alla ricorrente (…) l’immobile ad uso commerciale (bar) ubicato in V., via (…) Il contratto prevedeva un canone di Euro 1.000,00 annui con riferimento al primo quadriennio, “al fine di incentivare l’avviamento dell’attività del conduttore” e con la previsione che, a partire dal quarto anno, le parti avrebbero stabilito “di comune accordo, in base all’andamento dell’attività commerciale intrapresa dal conduttore, come proseguire il presente contratto sulla scorta della situazione economica del conduttore”. Inoltre, si prevedeva che “la ditta conduttrice non potrà fare valere alcuna azione o eccezione, se non dopo aver eseguito il pagamento delle rate scadute chiusi. Ancora, si stabiliva che “il conduttore non potrà portare modifiche alcune e addizioni, né opere in genere, se non dopo aver ottenuto il consenso scritto preventivo del locatore, il quale, comunque, al termine della locazione e a propria discrezione potrà chiedere e ottenere il ripristino o ritenere, senza alcun indennizzo, quanto realizzato dal conduttore” (clausola n. 8) e che “senza preventivo consenso scritto del locatore, è vietata qualsiasi modifica, innovazione o trasformazione die non consentano in ogni momento il ripristino dei locali nello stato attuale, fermo restando che ogni spesa, anche se è autorizzata, ivi comprese quelle relative alle pratiche amministrative, che fossero necessarie, rimarrà ad integrale carico della parte conduttrice e die gli eventuali lavori, o le innovazioni o modificazioni, ove richiesto dalla parte locatrice, verranno rimosse al termine della locazione, sempre a cura e spese della parte conduttrice senza diritto di rivalsa. Ogni ulteriore aggiunta che non possa essere tolta senza danneggiare i locali oggetto di locazione, ed ogni altra innovazione, pur autorizzata, resterà acquisita la proprietà a titolo gratuito” (clausola n. 9).

In una “appendice” al contratto, avente pari data 3.7.2019, si stabiliva che il canone sarebbe stato di Euro 6.000,00 a partire dal 4.7.2023.

La conduttrice ometteva il pagamento del canone e, con comunicazione in data 27.5.2021, manifestava la volontà di recedere (la ricorrente, che produce solo la r/r di una raccomandata, si riferisce ad una “risoluzione” ma, dalle ragioni addotte, si desume che si fosse trattato di recesso).

Essa conduttrice, sostenendo di avere eseguito lavori all’interno dell’immobile per Euro 12.000,00, ha quindi chiesto la condanna della locatrice al rimborso dei relativi costi, sul rilievo che il rapporto locatizio ha avuto durata ridotta rispetto a quanto previsto (punto 19 del ricorso) ed, in via subordinata, a titolo di indennità ex art. 1592 c.c. (punto 23 del ricorso).

La resistente si è costituita resistendo alla domanda.

Il G.U., ritenuta la superfluità delle prove dedotte, ha invitato le parti alla discussione ed ha definito la causa con pronuncia del dispositivo all’udienza dell’8.11.2023 e riserva di deposito della motivazione entro i successivi sei giorni.

Motivi della decisione

2. – Si deve premettere che non è fondata l’eccezione di parte resistente sulla presenza nel contratto di locazione di una clausola secondo la quale “qualora insorgessero controversie in merito all’interpretazione del presente contratto, le parti pattuiscono di attivare l’istituto della mediazione presso l’organismo della Camera di Commercio territorialmente competente, secondo quanto pattuito dalle disposizioni vigenti in materia nonché nel rispetto del regolamento in vigore presso (‘Organismo per modalità e termini. In caso di mancato accordo, saranno esperibili le iniziative avanti al A.G.O. come per legge”.

Essa sostiene l’improcedibilità alla luce del fatto che era stato esperito il tentativo di mediazione, obbligatorio “ex lege”, dinanzi ad un organismo di mediazione diverso da quello indicato in detta clausola.

Ora, in disparte il fatto che la clausola stessa fa riferimento unicamente alle controversie concernenti “l’interpretazione del contratto”, da questa non si desume che le parti avessero inteso stabilire l’utilizzo in via esclusiva di detto organismo, non desumendosi ciò dal tenore della clausola, il che assorbe l’ulteriore questione se una siffatta previsione sarebbe valida ed efficace.

3. – Premesso quanto sopra, le domande di parte ricorrente, sia quella principale sia quella subordinata, sono infondate e devono pertanto essere rigettate.

Anzitutto, sebbene il contratto ascriva letteralmente la previsione di un canone sensibilmente ridotto per il primo quadriennio (circa 83,00 euro al mese) rispetto a quello di mercato (che si presume essere quello di Euro 500,00 al mese) alla finalità di “incentivare l’avviamento dell’attività del conduttore”, tutto porta a ritenere – e le parti stesse lo affermano espressamente in atti – che la reale finalità era “compensativa” del costo dei lavori svolti, sul presupposto che questi sarebbero rimasti a beneficio della locatrice al termine della locazione.

Pertanto, l’impostazione difensiva di fondo del ricorrente, che ha fondato sul presupposto di cui sopra la domanda svolta in via principale, può ritenersi in linea di principio corretta: i costi di cui trattasi sarebbero stati “ammortizzati”, grazie al canone ridotto, fino al 3.7.2023, mentre il rapporto è cessato prima di tale momento.

Ciò che, tuttavia, essa ricorrente trascura di considerare, è il fatto che tale anticipata cessazione era avvenuta non per qualche evento al quale essa non poteva sottrarsi (quale un “factum principis”) o per fatto imputabile alla controparte, bensì per effetto di un proprio atto volontario, logicamente implicante la rinuncia al beneficio dell’utilizzo a canone ridotto dell’immobile ancora per il residuo tempo previsto.

D’altra parte, a diversamente opinare, la ricorrente non avrebbe comunque diritto all’indennità ex art. 1592 c.c. e ciò in quanto le parti avevano espressamente escluso, in via pattizia, tale eventualità.

Premettendo che il consenso della parte locatrice all’esecuzione di opere integranti innovazioni o miglioramenti, “… importando cognizione dell’entità, anche economica, e della convenienza delle opere, non può essere implicito, né può desumersi da atti di tolleranza, ma deve concretarsi in una chiara ed inequivoca manifestazione di volontà volta ad approvare le eseguite innovazioni, così che la mera consapevolezza (o la mancata opposizione) del locatore riguardo alle stesse non legittima il conduttore alla richiesta dell’indennizzo” (così Cass. ord. n. 15317/2019), si deve rilevare che, nella specie, le parti hanno convenuto che il consenso stesso avrebbe dovuto essere fornito in forma scritta, il che, alla luce dell’interpretazione della volontà delle parti, porta a fare ritenere la necessità di tale forma ai fini della validità stessa ed efficacia del consenso agli effetti dell’art. 1592 c.c.

Tale consenso scritto è nella specie mancante e, se anche fosse sussistente, l’esito della domanda in esame non muterebbe.

Infatti, le parti stesse (clausola n. 9) avevano previsto che anche le spese che fossero state “autorizzate” (quindi, per le quali c’era il consenso scritto), in riferimento ad opere che non potevano essere asportate senza danneggiare i locali oggetto di locazione ed “ogni altra innovazione”, sarebbero rimaste “acquisite alla proprietà a titolo gratuito”, clausola coerente con il già menzionato fatto che il costo dei lavori eseguiti per la sistemazione dei locali era compensato dal minor canone pattuito.

Inoltre, il che sarebbe comunque dirimente, l'”importo della spesa” rilevante ex art. 1592 comma 1 c.c. non è stato comunque provato: in particolare, ai sensi della predetta disposizione, l’indennità deve corrispondere al minor valore tra l’importo della spesa sostenuta ed il valore del risultato utile al tempo della riconsegna, ed una C.T.U. potrebbe individuare solo uno dei due termini di riferimento (ossia, il secondo), essendo il primo un fatto storico al quale la sola ricorrente è vicino e che solo essa è quindi in grado di provare.

4. – Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo avuto riguardo ai parametri di cui al D.M. n. 55 del 2014. Per la fase di trattazione/istruttoria deve essere liquidato un importo inferiore al parametro medio (euro 900,00), essendo stata l’istruttoria solo documentale e cosi anche per quella decisionale (Euro 1.000,00), in ragione tanto del citato carattere precostituito della prova quanto del fatto che nelle memorie conclusive sono state dalla parte vittoriosa sostanzialmente riprese argomentazioni difensive già esposte nei precedenti atti di causa.

La resistente, che non ha senza giustificato motivo partecipato al procedimento di mediazione, deve essere condannata ex art. 12 bis comma 2 D.Lgs. n. 28 del 2010 al versamento all’entrata del bilancio dello Stato di una somma pari al doppio del contributo unificato dovuto per il giudizio.

P.Q.M.

il Tribunale di Pavia, definitivamente pronunciando, disattesa ogni altra istanza ed eccezione:

I. respinge le domande presentate dalla ricorrente (…) nei confronti della resistente (…)

II. condanna la ricorrente alla rifusione in favore della resistente delle spese di lite, che liquida per compenso di difensore in complessivi Euro 3.600,00, oltre 15% spese generali, C.P.A. ed I.V.A come per legge;

III. condanna la parte resistente, che non ha senza giustificato motivo partecipato al procedimento di mediazione, al versamento all’entrata del bilancio dello Stato di una somma pari al doppio del contributo unificato dovuto per il giudizio.

Fissa termine di giorni sei per il deposito della motivazione.

Conclusione

Così deciso in Pavia, il 8 novembre 2023. Depositata in Cancelleria

Un commento su “Non presentarsi in mediazione può essere molto pericoloso!

  1. Basterebbe l’applicazione di questa norma di legge per far comprendere alle persone l’utilità di presentarsi in mediazione. Machiavelli diceva: Se a qualcuno tocchi il padre, forse se ne scorda. Se a qualcuno tocchi la roba, non se ne scorderà mai!

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