Mediazione: il Comitato ADR & Mediazione chiede una circolare al Ministero

Con una missiva inviata al dott. Triscari e alla dott.ssa Saragnano, che pubblichiamo di seguito, il Comitato ADR & Mediazione ha chiesto al Ministero della Giustizia l’emanazione di una circolare interpretativa della materia, vista la situazione venutasi a creare dopo la sentenza della Corte Costituzionale:

Il Comitato Mediazione e ADR, formatosi tra esperti del settore ed Organismi di mediazione, con lo scopo principale di diffondere la cultura della mediazione e di implementare metodi di risoluzioni alternativi delle controversie:

– Preso atto che in questa fase la mediazione civile merita di ottenere tutto il sostegno possibile, anche al fine di non rendere vani gli sforzi scientifici, dottrinari ed economici profusi in questi anni.

– Ritenuto che al momento la strada  percorribile e più immediata appare quella di rendere più comprensibile e conveniente la normativa ancora in vigore, e quindi analizzati i punti critici del D.lgs. 28/2010 e successivi Decreti Ministeriali, ritenuto che chiarire ufficialmente alcune parti del Decreto Legislativo, potrebbe consentire all’istituto della mediazione di riprendere interesse nei confronti dei cittadini, con particolare riferimento alle fattispecie dei diritti reali e divisioni in genere, dove l’alternativa al giudizio appare particolarmente utile ed economica.

 

Si chiede, pertanto,  al Ministro della Giustizia al Sottosegretario e all’Ufficio Legislativo, nonché ai dirigenti del Ministero competenti per materia e attribuzioni, di voler prendere in considerazione la richiesta di circolare interpretativa di cui in oggetto, e di voler fissare un incontro presso il  Ministero con il Comitato, al fine di poter provvedere ad un confronto de visu, nel comune interesse e nel più breve tempo possibile.

Con osservanza,

Avv. Paolo Fortunato Cuzzola (Presidente Comitato ADR & Mediazione)

Avv. Luca Tantalo (Vicepresidente)

 

 

Al Ministro

Al Sottosegretario

All’Ufficio Legislativo

del Ministero della Giustizia

 

Al Dott. Triscari

Alla Dott.ssa Saragnano

 

Oggetto: richiesta di circolare interpretativa degli artt. 11 comma 3 , 12 comma 1 e 17 commi 2 e 3 del D. Lgs. 28/2010

1)      In riferimento all’art. 11 comma 3

Premesso che :

–          L’articolo   11 comma 3 del D. Lgs. 28/2010 dispone che : “Se è raggiunto l’accordo amichevole di cui al comma 1 ovvero se tutte le parti aderiscono  alla  proposta  del  mediatore,  si  forma processo verbale che deve  essere  sottoscritto  dalle  parti  e  dal mediatore, il quale certifica l’autografia della sottoscrizione delle parti o la loro impossibilità di sottoscrivere. Se con l’accordo  le parti concludono uno dei contratti o compiono uno degli atti previsti dall’articolo 2643 del codice civile, per procedere alla trascrizione dello stesso la  sottoscrizione  del  processo  verbale  deve  essere autenticata da un pubblico ufficiale a  ciò autorizzato;

–          Nella relazione illustrativa al D.Lgs 28/2010  nel paragrafo rubricato  Articolo 11 (Conciliazione) si legge che :  “ Al fine di garantire la certezza dei traffici e offrire maggiori garanzie alle parti, è stato previsto che l’autografia della sottoscrizione del verbale di accordo che abbia ad oggetto diritti su beni immobili soggetti a trascrizione (e annotazione), per poter effettuare quest’ultima debba essere autenticata da un pubblico ufficiale a ciò autorizzato. La disposizione si estende, logicamente, agli atti di divisione immobiliare per effetto del combinato disposto con l’articolo 2645 c.c.”;

–          In base alle disposizioni del  D.P.R. 28 dicembre 2000 n. 445 l’autenticazione delle firme è l’attestazione, da parte del pubblico ufficiale autorizzato, che la sottoscrizione di atti è stata apposta in sua presenza dall’interessato, previa sua identificazione, e che sono abilitati all’autenticazione un notaio, cancelliere, segretario comunale, il dipendente addetto a ricevere   la documentazione o altro dipendente    incaricato dal Sindaco;

–          Da una attenta analisi della ratio della norma la scelta del legislatore appare  pienamente coerente con il sistema di pubblicità immobiliare del nostro ordinamento giuridico. L’art. 2657 c.c. dispone che  gli unici titoli validi per la trascrizione siano le sentenze, gli atti pubblici o le scritture private autenticate o la cui sottoscrizione sia stata accertata giudizialmente. Lo scopo pare essere quello di assicurare un controllo di legalità e dare certezza a tutti i dati immessi nei  pubblici registri.

–          La norma indica solo l’art. 2643, ma l’intervento del pubblico ufficiale  sembra essere necessario  anche per gli atti previsti dall’art. 2645 (cioè tutti gli altri atti soggetti a trascrizione quali divisioni, accettazioni eredità, acquisto di legato) e dagli art 2645 bis e ter c.c. (preliminari, atti di destinazione); in tutti i casi cioè in cui l’accordo debba essere trascritto, al fine di garantire la certezza dei traffici giuridici.

–          Si osserva che l’intervento del pubblico ufficiale si rende necessario, per analogia (in particolare ne viene fatto espresso rifermento nella relazione illustrata al decreto 28/2010 in cui si parla espressamente di trascrizione ed annotazione), in tutti i casi in cui l’accordo vada trascritto, iscritto o annotato in pubblici registri, sussistendo la stessa esigenza di sicurezza; quindi in tutti gli accordi che abbiano ad oggetto beni per i quali la legge prevede particolari forma di pubblicità: beni mobili registrati, quote sociali, aziende.

–          Il legislatore aveva forse in mente la figura di un pubblico ufficiale  presente all’accordo, non mediatore egli stesso, che, assistendo alla sottoscrizione del verbale e dell’accordo allegato, ne autenticasse le firme apposte e provvedesse poi alla registrazione e trascrizione dello stesso, con il susseguirsi delle seguenti operazioni:  stesura dell’accordo ad opera delle parti;  redazione del verbale fatta dal mediatore e sottoscritto da tutti, al quale viene allegato l’accordo;  autentica apposta dal pubblico ufficiale al verbale ed all’allegato accordo. In realtà anche se teoricamente possibile,  nella maggior parte dei casi l’intervento del pubblico ufficiale si verrebbe a porre come  successivo alla conclusione della mediazione.

 

Tutto ciò premesso appare estremamente urgente e gradito,  un intervento chiarificatore di questo Ministero relativamente a quanto segue:

 

A)    Ci si chiede se il legislatore indicando la figura del Pubblico Ufficiale intendesse riferirsi  esclusivamente al notaio nella sua funzione di pubblico ufficiale.

 

B)     Se la figura richiesta fosse quella del notaio, ci si chiede allora se  il suo intervento debba essere “pieno”, nel senso che dovrebbe rispettare la normativa notarile, civilistica e tutte le norme che regolano in specie il contratto o l’atto che emerge dall’accordo (ad es. qualora la controversia avesse ad oggetto beni vincolati a sensi del D.Lgs 42/2004 sarebbe tenuto ad adempiere tutti gli obblighi ivi previsti); e se egli sia tenuto a fare tutti i preventivi controlli di legge relativi alla identità delle parti, alla loro capacità di agire e di disporre (attività istruttoria in generale), e alla legalità dell’accordo nella sua totalità. Una simile interpretazione implicherebbe, pur in presenza di un accordo già raggiunto, il controllo della volontà delle parti per redigere l’atto che meglio consenta di raggiungere gli scopi prefissi. Senonché, l’atto di cui trattasi non è un semplice accordo tra parti private che lo sottoscrivono, bensì un processo verbale, rilasciato ai sensi di legge, dal cui procedimento emerge che tra i soggetti, da esso interessati, figura anche il mediatore il quale offre, alle parti la prestazione di un’opera intellettuale, da cui emana un’obbligazione a svolgere detta attività ai fini del diritto al compenso.

Ma allora, disponendo l’art. 11 che  il verbale si debba chiudere con la certificazione dell’autografia delle sottoscrizioni apposte dalle parti e controfirmata soltanto dal mediatore, per aversi l’autenticazione del medesimo nei casi previsti dal comma terzo dello stesso articolo, il notaio dovrebbe semplicemente autenticare le sottoscrizioni nella forma minimale richiesta dalla legge affinché si abbia  un titolo idoneo alla trascrizione; riprodurre in atto pubblico il contenuto del verbale, che è appena il caso di sottolineare dovrà contenere le firme di tutti i soggetti della procedura presenti, cioè delle parti e del mediatore, porterebbe ad un duplicato del procedimento di mediazione. Del tutto inutile e parecchio costoso per le parti.

Peraltro nel caso in cui l’intervento del notaio fosse successivo alla stesura del verbale e relativo accordo, e pertanto mancando la contestualità, il notaio non potrebbe limitarsi all’autentica delle firme apposte al verbale, ma dovrebbe redigere un atto notarile vero e proprio che richiede da parte sua lo studio della pratica, e che verrebbe perfezionato in data diversa. Riepilogando, ci si chiede se il notaio debba:

–          a) autenticare le firme al verbale “puramente e semplicemente” come previsto dalla legge al momento della sottoscrizione dell’accordo, quindi secondo un interpretazione letterale della norma stessa , assumersi una responsabilità solo sulla effettiva autenticità delle firme apposte, senza dovere o potere entrare nel merito dell’atto formato e sottoscritto, ( dunque non avrebbe alcuna responsabilità in merito all’atto, limitandosi in forza di legge  solo e soltanto a verificare la paternità della sottoscrizione)

–          b) ricevere in deposito l’originale del verbale e il relativo accordo allegato (art.61 L.N.) ; questo potrà essere fatto se il verbale è completo, contiene tutte le previsioni e dichiarazioni di legge (urbanistiche, di conformità catastale eccetera) e non necessita di integrazioni o modifiche; peraltro la legge notarile obbliga il Notaio che riceva atti destinati alla pubblicità civile e commerciale, a depositarli nella propria raccolta;

–          c) redigere un atto notarile autonomo, facendo riferimento agli accordi di mediazione; ma questa soluzione dovrebbe verificarsi solo ove le parti nell’accordo di conciliazione si fossero obbligate ad addivenire ad un successivo atto notarile che garantisse loro di raggiungere certi risultati, dovendo risultare sufficiente ai fini dell’ottemperamento di quanto richiesto dall’art. 11 comma 3 solo l’autenticazione delle sottoscrizioni di cui al punto a), e non facendo peraltro riferimento alcuno, l’art. 11 comma 3, all’atto pubblico ai fini della trascrizione.

 

C)    In riferimento ai casi in cui il verbale di conciliazione debba essere trascritto,  si chiede a questo punto e nonostante il chiarissimo tenore letterale dell’articolo in questione, che venga definitivamente  chiarito come procedere alla trascrizione. L’interpretazione  del disposto di cui all’art. 11 comma 4  appare di fondamentale importanza per poter effettivamente procedere alla trascrizione del verbale di conciliazione le cui sottoscrizioni siano state semplicemente autenticate da un notaio o da altro pubblico ufficiale a ciò autorizzato. Purtroppo si è riscontrata la tendenza delle Conservatorie a non autenticare i verbali di conciliazione che non siano stati oggetto di “ripetizione/traduzione in atto pubblico”, costringendo così le parti a dover ricorrere al Notaio nel suo ruolo più “pieno”, con un eccessivo aumento dei costi. E d’altra parte i notai stessi rifiutano spesso di autenticare semplicemente  le sottoscrizioni dei verbali di conciliazione, costringendo le parti della mediazione a sottoscrivere meri impegni a stipulare un atto successivo presso il notaio, e il risultato è sempre un aumento indiscriminato dei costi legati alla efficacia del verbale di conciliazione. L’art. 2657 c.c. sancisce al comma 1 che “la trascrizione non si può eseguire se non in forza di sentenza [2908; c.p.c. 132, 586, 825], di atto pubblico o di scrittura privata con sottoscrizione autenticata [2703] o accertata giudizialmente [2659; c.p.c. 214, 215]. Il pubblico ufficiale, anche  qualora si trattasse di notaio,  dovrebbe quindi solo adempiere al proprio dovere d’ufficio applicando il tariffario relativo. E qualora non lo facesse  o si rifiutasse di farlo, ci si chiede se non sia addirittura applicabile l’art. 328 c.p. che al comma prima sancisce che “Il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio, che indebitamente rifiuta un atto del suo ufficio che, per ragioni di giustizia o di sicurezza pubblica, o di ordine pubblico o di igiene e sanità, deve essere compiuto senza ritardo, è punito con la reclusione da sei mesi a due anni”.

 

D)   Ai fini della autenticazione delle sottoscrizioni del verbale di conciliazione richiesta ai fini della trascrizione:

 

Considerata  l’attività istruttoria svolta dal Notaio e sostanzialmente consistente in tutta una serie di accertamenti:

  • circa il carattere “disponibile” del diritto oggetto di controversia;
  • ipocatastali almeno ventennali;
  • relativi alla conformità catastale
  • relativi al regime patrimoniale, specie del cedente;
  • relativi alla legittimazione a disporre del bene in capo al cedente.

 

Considerata inoltre l’attività del notaio legata al profilo strettamente documentale per cui si rende necessario conciliare una duplice esigenza:

  • Da un lato l’esigenza del Notaio di procedere ad autenticare soli accordi che abbiano superato un controllo di validità rigoroso sotto il profilo sostanziale;
  • Dall’altra l’esigenza formale di soddisfare la richiesta:
    • Del DLgs di lasciare l’accordo certificato dal mediatore in originale presso la Segreteria dell’organismo, che è autorizzata, poi, a rilasciarne copia;
    • Della legge notarile che obbliga il Notaio che riceva atti destinati alla pubblicità civile e commerciale, a depositarli nella propria raccolta.

 

Dedotto quindi che il Notaio svolge una analisi preliminare circa la validità dell’accordo sotto il profilo formale e sostanziale così come confezionato dalle parti (con l’aiuto del mediatore); e se il suddetto controllo ha  esito positivo egli procede alternativamente:

– alla autentica in calce all’accordo (in duplice originale o rilasciato in copia dalla segreteria dell’organismo)

– al negozio di ripetizione (con expressio causae volta a richiamare in premessa l’accordo “ripetuto”) al fine di creare il collegamento necessario e godere dei benefici fiscali;

 

si chiede che venga chiarito esaustivamente se sia possibile affidare al Notaio, qualora solo ad esso di debba attribuire il ruolo previsto nell’art. 11 comma 3 del D. Lgs. 28/2010, il ruolo di mediatore ausiliario ai sensi dell’art. 8 comma 1 del decreto stesso o di consulente tecnico ai sensi del comma 4  dell’articolo 8. Sarà allora compito del Responsabile dell’Organismo, ogni volta che si richiede l’autentica delle sottoscrizioni da parte di un P.U. (rectius notaio), investire il notaio nella fase prodromica all’accordo se non quale mediatore ausiliario (qualora il notaio abbia titolo per svolgere questa funzione presso l’organismo, possedendone i requisiti, essendo cioè stato accreditato da quest’ultimo) come consulente tecnico quantomeno nella fase di predisposizione del testo dell’accordo al fine di prevenire possibili vizi dell’atto o altre circostanze che possano ritardare o impedire l’autentica o la trascrizione, pregiudicando l’assetto ormai definito degli interessi delle parti. In tal modo l’attività istruttoria del notaio e il controllo sostanziale da parte sua dell’atto da autenticare, rientrerebbero nelle attività di mediazione con un duplice effetto incentivante dell’istituto:

a)      tutti gli atti documenti e provvedimenti necessari all’attività necessaria del notaio godrebbero della esenzione fiscale di cui al comma 2 dell’art. 17 D. Lgs. 28/2010,

b)      la trascrizione del verbale di conciliazione avverrebbe speditamente, non essendo più necessario il passaggio successivo dal notaio per la traduzione in atto pubblico.

 

La disamina dell’art. 11 comma 3 ci porta immediatamente alla richiesta di una ulteriore interpretazione autentica:

 

2)      In riferimento all’art. 12 comma 1

 

Premesso che

–          L’art 12 comma 1 sancisce che “Il verbale  di  accordo,  il  cui  contenuto  non  è  contrario all’ordine pubblico o a norme imperative, è omologato, su istanza di parte e previo accertamento  anche  della  regolarità  formale,  con decreto del presidente del tribunale  nel  cui  circondario  ha  sede l’organismo…”;

–          L’art 4 comma 2 del DM 180/2010, rubricato “criteri per l’iscrizione nel registro” alla lettera a) dispone che, “ai fini della dimostrazione della capacità organizzativa, il richiedente deve attestare di poter svolgere l’attività di mediazione in almeno due regioni italiane o in almeno due province della medesima regione, anche attraverso gli accordi di cui all’articolo 7, comma 2, lettera c)”;

–          Uno speciale criterio di competenza territoriale è stabilito solo con riferimento alle controversie transfrontaliere di cui all’art. 2 della direttiva 2008/52/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio, del 21 maggio 2008, relativamente alle quali è stabilito, sempre nell’lart. 12 comma 1,  che l’omologazione del verbale di conciliazione spetta al Presidente del Tribunale nel cui circondario l’accordo deve avere esecuzione

–          Dal tenore letterale dell’articolo in questione appare che competente sia il Presidente del Tribunale nel cui circondario ha sede l’organismo presso il quale s’è svolta la mediazione e  che tale la competenza non muta per la trattazione di tutte o singole sessioni in luoghi diversi (art. 8, comma 2° D. Lgs. 28/10); non muta per l’utilizzo di strutture, personale e mediatori di altri organismi con cui sia stata raggiunta un’intesa, anche per singoli affari (art. 7, lettera c) DM 180/10) nei limiti in cui la mediazione resti riferibile all’organismo iniziale (cfr. anche art. 4 lettera a), su cui infra);

–          Nella prassi c’è incertezza sul Presidente del Tribunale territorialmente competente alla omologa dell’accordo di conciliazione raggiunto presso una delle c.d. sedi secondarie dell’Organismo accreditato presso il Ministero.

 

Tutto ciò premesso è estremamente urgente e gradito un intervento chiarificatore di questo Ministero relativamente a quanto segue:

 

A)    Poiché la “sede dell’organismo” di cui all’art. 12 comma 1 al singolare, è unica, e  l’argomento letterale indurrebbe a concludere che competente per l’omologa debba essere il Presidente del Tribunale  nel cui circondario l’organismo ha la sua sede principale; una interpretazione di tale tenore renderebbe oltremodo gravosa e dispendiosa per le parti la richiesta di omologa, qualora l’accordo venisse raggiunto non presso la sede legale ma presso una delle sedi secondarie accreditate dell’organismo di mediazione; Ci si chiede se sia competente il Tribunale del circondario della sede principale (legale) dell’organismo o quello  ove le parti materialmente si sono accordate, che, in caso di sede secondaria, è una sede diversa dalla sede legale dell’organismo. 

 

3)      In riferimento all’art. 17 commi 2 e 3

Premesso che

–          L’Art. 17 al comma 2 dispone  che “ Tutti  gli  atti,  documenti  e   provvedimenti   relativi   al procedimento di mediazione  sono esenti dall’imposta  di  bollo  e  da ogni spesa, tassa o diritto di qualsiasi specie e natura”; al comma 3 dispone che “ Il verbale di accordo è esente dall’imposta di  registro  entro il limite di valore di 50.000 euro, altrimenti  l’imposta  è  dovuta per la parte eccedente;

–          anche per gli aspetti tributari, il fine  del legislatore è stato quello di perseguire, nella disciplina, una generale semplificazione e snellimento del procedimento, nonché un beneficio fiscale  per le parti che trovano, attraverso la conciliazione, un accordo bonario.

–          alla stregua di qualsiasi decisione giudiziale, il verbale deve essere sottoposto a registrazione presso gli sportelli dell’Agenzia delle Entrate;

–          la tendenza dei notai a rifiutare la semplice autenticazione delle sottoscrizioni dei verbali di conciliazione ha portato alla prassi della “traduzione in atto pubblico”, che altro non è se non un atto successivo al verbale di conciliazione, e dunque le parti si vedrebbero negata dalla Agenzia delle Entrate l’applicazione dell’art. 17 in riferimento all’imposta di bollo e di registro (l’atto pubblico è “altro” rispetto al verbale di conciliazione), svilendo così il favor legis riscontrabile non solo nell’articolo in esame, ma in tutto l’impianto normativo la cui ratio è quella di “allettare” le parti e di stimolarle all’accordo anche grazie agli evidenti benefici fiscali;

–          non si fa riferimento alcuno nell’art. 17 al fatto che i benefici fiscali siano applicabili solo nei casi in cui la mediazione sia condizione di procedibilità, e quindi si deve intendere che il beneficio fiscale è ancora applicabile in caso di verbali di conciliazione intervenuti dopo la sentenza della Consulta che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del tentativo obbligatorio di mediazione;

–          Il disposto dell’art. 17 prevede due tipi di esenzioni: Esenzioni totali (Tutti gli atti, documenti e provvedimenti relativi al procedimento di mediazione sono esenti dall’imposta di bollo [di cui al D.P.R. 642/72 e successive modificazioni] e da ogni spesa, tassa o diritto di qualsiasi specie e natura); Esenzioni parziali (Il verbale di accordo è esente dall’imposta di registro [di cui al D.P.R. 131/86 e successive modificazioni] entro il limite di valore di euro 50.000,00, altrimenti l’imposta è dovuta per la parte eccedente);

–          Le Agenzie delle Entrate non hanno tenuto un atteggiamento uniforme relativamente alle esenzioni fiscali, creando confusione nella interpretazione e corretta applicazione dell’articolo in questione;

Tutto ciò premesso è estremamente urgente e gradito un intervento chiarificatore di questo Ministero  relativamente all’art. 17 comma 2:

A)    disponendo il legislatore, con evidente favor legis, che tutti gli atti, i documenti e i provvedimenti relativi al procedimento di mediazione siano esenti oltre che dall’imposta di bollo, anche ( e soprattutto) da ogni spesa, tassa o diritto di qualsiasi specie e natura ci si chiede se l’esenzione totale riguardi anche le imposte ipotecarie e catastali; in effetti dalla ratio e dal tenore letterale dell’articolo 17 comma 2, si desume l’applicabilità del beneficio della esenzione totale anche a queste ultime, trattandosi di imposte in qualche modo “ANCILLARI” in base al sistema, rispetto alla imposta di registro.

B)     Per quanto riguarda IVA E IMPOSTA DI DONAZIONE SUCCESSIONE , e di tutte quelle  imposte PRINCIPALI o ALTERNATIVE (non ancillari, come sono le ipotecarie e catastali) ci si chiede se scontino le loro aliquote in modo pieno o godano anche esse dell’esenzione totale che sembrerebbe investire, sempre per il tenore letterale dell’articolo in questione, tutti gli atti, i documenti e i provvedimenti del procedimento di mediazione, e di conseguenza l’atto conclusivo dello stesso, che è appunto l’accordo di conciliazione;

C)    Sancendo il legislatore che “ Tutti  gli  atti,  documenti  e   provvedimenti   relativi   al procedimento di mediazione  sono esenti dall’imposta  di  bollo  e  da ogni spesa, tassa o diritto di qualsiasi specie e natura”; si chiede che venga definitivamente chiarito se per “relativi” il legislatore ha inteso tutti gli atti documenti e provvedimento inerenti al procedimento di mediazione, di conseguenza anche quelli successivi alla sottoscrizione dell’ accordo che siano necessari ai fini dell’ottemperamento di quanto disposto dall’art. 11 del D. Lgs 28/2010.

Una interpretazione restrittiva e ottusamente letterale della legge, ma soprattutto che non tenesse conto del favor legis di cui è pervaso tutto l‘istituto, soprattutto in relazione agli incentivi allo stesso,  potrebbe portare alla morte naturale  di un utilissimo strumento deflattivo delle controversie civili e commerciali. Dopo la Sentenza della Consulta, si chiede al Ministero della Giustizia, nonché al suo ufficio legislativo, di voler emettere una circolare interpretativa relative alle istanze presentate, al fine di permettere agli organismi di mediazione di poter operare con quel che rimane del D. Lgs. 28/2010 approfittando almeno degli incentivi già presenti nel decreto e che la sentenza non ha cassato.

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