E’ stato pubblicato il n.1/2021 della rivista del Comitato ADR & Mediazione, ADRITALIA, leader nel settore delle pubblicazioni in materia di mediazione e risoluzione alternativa delle controversie.
Il download gratuito della rivista in pdf può essere effettuato da qui:
ADR Italia (Numero 1/2021) (Versione PDF)
Per acquistare la versione cartacea il link è invece questo:
ADR Italia (Numero 1/2021) (Versione Cartacea)
Ringraziamo il nostro bravissimo editore, Salvatore Primiceri, e tutti gli autori.
UNAM, nella persona del suo Presidente Angelo Santi e del suo Segretario Generale, Mauro Carlo Bonini, ha inviato una lettera di benvenuto al nuovo Ministro della Giustizia, prof.ssa Cartabia.
UNAM è un’ associazione specialistica forense maggiormente rappresentativa, riconosciuta dal Consiglio Nazionale Forense, che sostiene e promuove la mediazione come metodo fondamentale per la risoluzione delle controversie, tra privati e imprese, nell’ottica non solo di ridurre il contenzioso, ma di migliorare i rapporti personali e professionali tra le parti, con evidenti vantaggi per tutti.
Questa sera alle 21 avrò l’onore di essere ospitato da Stefano Cera, uno dei più importanti formatori italiani, nonché uno dei più esperti studiosi di mediazione in assoluto, sulla sua pagina Facebook per parlare di formazione. Questo è l’indirizzo: https://www.facebook.com/stefano.cera.37
Stefano è Senior Trainer, Speaker radiofonico e Coach | Presidente della Delegazione del Lazio di Aif (Ass. Italiana Formatori) | Responsabile dei nuovi prodotti formativi di Aif Academy.
Sarà un appuntamento interessante, una chiaccherata tra amici veri su un argomento che ci appassiona entrambi.
Vi aspetto!
Questo è il principio espresso dalla Suprema Corte, nella sentenza n. 2460/2021, emessa nella camera di consiglio della I Sezione dell’11 dicembre 2020.
Secondo la Suprema Corte, a seguito dell’istituzione del cd. “domicilio digitale” di cui all’art. 16 sexies del D. L. n. 179 del 18.10.2012, convertito con modificazioni in Legge n. 221 del 7.12.2012, come modificato dal D. L. n. 90 del 24.6.2014, convertito con modificazioni in Legge n. 114 dell’11.8.2014, le notificazioni e comunicazioni degli atti giudiziari, in materia civile, sono ritualmente eseguite -in base a quanto previsto
dall’art. 16 ter, comma 1, del D. L. n. 179 del 2012, modificato dall’art. 45-bis, comma 2, lettera a), numero 1), del D. L. n. 90 del 2014, convertito, con modificazioni, dalla Legge n. 114 del 2014, e successivamente sostituito dall’art. 66, comma 5, del D. Lgs. n. 217 del 13.12.2017, con decorrenza dal 15.12.2013- presso un indirizzo di posta elettronica certificata estratto da uno dei registri indicati dagli artt. 6 bis, 6 quater e
62 del D. Lgs. n. 82 del 2005, nonché dall’articolo 16, comma 12, dello stesso decreto, dall’articolo 16, comma 6, del D. L. n. 185 del 2008, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 2 del 2009, nonché il registro generale degli indirizzi elettronici, gestito dal Ministero della Giustizia e, quindi, indistintamente,
dal registro denominato INI-PEC e da quello denominato Re.G.Ind.E.”.
La Corte di Appello ha dunque errato, nel caso di specie, a ritenere nulla la notificazione dell’atto di impugnazione, che il ricorrente aveva eseguito presso un indirizzo di posta elettronica certificata dell’Avvocatura Distrettuale dello Stato estratto dal registro INI-PEC.
Qui si può scaricare la sentenza integrale:
La moglie che, pur avendo teoricamente capacità reddituale, decide congiuntamente al coniuge di rinunciare all’attività lavorativa per occuparsi della casa e dei figli, anche perché soggetta ai frequenti spostamenti lavorativi cui è tenuto il marito, ha potenziale idoneità a produrre reddito “limitatissima” , a causa dei suddetti accordi e per le vicende familiari connotate dai plurimi trasferimenti.
Di conseguenza, ha diritto al mantenimento: questo è il principio stabilito dalla Suprema Corte nell’ordinanza n. 30014 del 21 ottobre 2020, depositata il 31 dicembre, qui scaricabile liberamente:
Per maggiori informazioni ed eventuali consulenze in merito: consulenza@studiotantalofornari.it, oppure compilare il modulo di seguito
La multa con autovelox non è valida se effettuata con apparecchiatura la cui taratura non sia stata fatta presso un centro Accredia o da una società che abbia la certificazione ISO 9001. Lo ha stabilito la Corte di Cassazione con la sentenza n. 1608 del 2021, scaricabile in fondo all’articolo.
Non è sufficiente, secondo la sentenza, la sempice taratura, in quanto la circolare del Ministero dell’Interno e la nota sentenza della Corte Costituzionale (n. 113 del 2015) impongono non solo la verifica periodica di funzionalità e taratura con cadenza almeno annuale delle apparecchiature di controllo da remoto, ma che essa sia effettuata presso un centro accreditato ACCREDIA (unico organismo nazionale accreditato), ovvero presso lo stesso costruttore se abilitato alla certificazione di qualità aziendale secondo le norme ISO 9001/2000. La prescrizione è stata poi confermata anche dalla circolare del Ministero delle infrastutture e dei trasporti del 13 giugno 2017.
Nel caso portato all’attenzione della Suprema Corte, al contrario di quanto previsto dalla normativa, non è è stato dimostrato che l’apparecchio utilizzato per la rilevazione della velocità fosse stato tarato in modo corretto; pertanto, la Suprema Corte ha accolto il ricorso.
Per maggiori informazioni: consulenza@studiotantalofornari.it oppure compilare il modulo di seguito
Se l’accordo di separazione personale tra coniugi, stabilito con la negoziazione assitita, ricomprende anche il trasferimento di uno o più diritti di proprietà su beni immobili, la disciplina in materia, prevista dal d.l. n. 132 del 2014, art. 6, convertito in Legge n. 162 del 2014, che riguarda la negoziazione assistita, va integrata con quella di cui allo stesso DL e riportata nell’art. 5, comma 3. Di conseguenza, onde procedere alla trascrizione dell’accordo di separazione contenente anche un atto negoziale comportante uno o più trasferimenti immobiliari, è necessaria l’autenticazione del verbale di accordo da parte di un pubblico ufficiale a ciò autorizzato, normalmente un Notaio, ai sensi dell’art. 5, comma 3. Inoltre, il Notaio non può rifiutarsi di autenticare le firme del suddetto accordo, in forza delle citate previsioni di legge (anche perché in mancanza il Conservatore non procede alle trascrizioni), commettendo in caso contrario illecito disciplinare. Questo è il principio riportato nella sentenza n. 1202/2020 della Suprema Corte di Cassazione, che qui si può scaricare integralmente:
Per gentile concessione di http://www.mondoadr.it, sito dell’organismo Adr Center, organismo iscritto al n. 1 dell’apposito registro presso il Ministero della Giustizia, nonché dell’autore, avv. Andrea Zanello, riportiamo di seguito il testo dell’interessante articolo pubblicato ieri, 31 gennaio:
Come da tradizione, il 29 gennaio scorso è stato celebrato il rito della apertura dell’anno giudiziario 2021, in occasione del quale il Primo Presidente della Corte Suprema di Cassazione Pietro Curzio ha presentato la sua “Relazione sull’amministrazione della giustizia” (pubblicata per intero sul sito ufficiale della Corte) per fare il punto sui risultati del lavoro svolto nei precedenti 12 mesi ed indicare le prospettive e gli obiettivi per la stagione in corso.
Sulla scorta delle statistiche nazionali del Ministero e di quelle specifiche della Corte, vengono “snocciolati” i numeri delle pendenze, delle iscrizioni, delle definizioni e della durata media dei giudizi, nonché quelli degli organici e delle strutture; si evidenziano i risultati raggiunti e le criticità emerse ed infine si individuano le linee di tendenza e le proposte per migliorare il “servizio giustizia”.
Orbene, nel quadro delineato quest’anno ha trovato spazio anche la mediazione, quale utile strumento per una risoluzione alternativa delle controversie giusta, rapida ed economica.
Vale la pena lasciare la parola alla Relazione, nella quale, alla parte prima (“La giustizia nell’anno più difficile”), nel paragrafo 2, dedicato ai flussi ed ai tempi della attività giudiziaria (iscrizioni, definizioni, pendenze e tempi medi di durata), si legge (a pag. 23) quanto segue:
“… Secondo i dati forniti dal Ministero della Giustizia, nel periodo luglio 2019- giugno 2020, anche l’istituto della mediazione ha registrato un rilevante calo delle iscrizioni delle procedure rispetto all’anno precedente (- 12%): tale riduzioni si rileva essenzialmente nel corso del primo semestre 2020, in cui si è registrata una flessione del 41%, a fronte di una sostanziale stabilità del numero di procedure attivate nell’anno precedente …”.
Al netto della pandemia, quindi, la mediazione mostra una “sostanziale stabilità”, tiene il campo, non arretra. In altri termini: serve, produce effetti positivi ed è ormai parte definitivamente integrante del sistema.
Ed infatti “… Ferma restando la complessità della ricostruzione del quadro generale – prosegue il Primo Presidente – può riconoscersi all’istituto conciliativo un effetto comunque deflattivo del contenzioso civile, soprattutto se si tiene conto del fatto che le procedure concluse con il raggiungimento dell’accordo hanno avuto una durata media di 143 giorni nel 2019 e di 160 nel primo semestre 2020, ben più celere, in ogni caso, della durata media del solo giudizio di primo grado dinanzi al tribunale (348 giorni nel periodo luglio 2019- giugno 2020; 359 giorni nell’anno precedente) …”.
“Un effetto comunque deflattivo”: non una “bacchetta magica” che fa sparire l’arretrato, ma un solido attestarsi nell’ordinamento nell’interesse del cittadino e dell’istituzione, sui tavoli della quale si libera un po’ più di spazio per quelle controversie che, per la loro natura e/o per la loro complessità e delicatezza, necessitano veramente dell’intervento della collettività e cioè dello Stato.
Ma vi è di più. Nella parte quinta (“La Corte, la società e le riforme”), il punto 1.1 (“Le riforme nel settore civile”) viene dedicato in gran parte alla necessità di risposte differenziate rispetto a quelle giudiziali tradizionali e, tra esse, specificamente alla mediazione, in specie quella c.d. delegata.
Lasciamo ancora una volta la parola alla Relazione (pagg. 149- 150):
“1.1 Le riforme nel settore civile
Sul versante dell’interlocuzione istituzionale, è indispensabile, in ambito civile, un intervento del legislatore per prevenire la sopravvenienza di un numero patologico di ricorsi, mediante forme di risposta differenziate rispetto a quelle tradizionali in grado di giungere alla definizione del conflitto senza percorrere necessariamente i tre gradi di giurisdizione.
In tale prospettiva, in ambito civile deve essere valorizzata, nelle sue molteplici potenzialità, la mediazione, oggetto di un gruppo di lavoro ministeriale da cui provengono importanti indicazioni di contenuto e di metodo. Il DL 21 giugno 2013 n. 69, convertito nella legge 9 agosto 2013 n. 98 ha profondamente mutato l’istituto mediatorio, affiancando alla mediazione su mero invito del giudice (la cd. mediazione demandata) la possibilità (anche in appello) di disporre l’esperimento del procedimento di mediazione (la cd. mediazione ex officio o delegata) e ha introdotto il concetto di “processo senza sentenza” che può contribuire alla definizione delle controversie in modo complementare rispetto all’esercizio tradizionale dello ius dicere.
Il processo senza sentenza non implica un’abdicazione del giudice dalla propria funzione giudicante, ma semplicemente richiede una valutazione puntuale ed esperta della mediabilità e della conciliabilità del singolo caso. Assicura la diversificazione delle modalità di offerta del servizio e degli strumenti impiegati a beneficio dell’interesse del cittadino e delle imprese in grado di assicurare l’effettivo raggiungimento degli obiettivi di qualità ed efficienza …”.
Ciò posto, in un prospettiva di più ampio e moderno orizzonte sociale e culturale, non limitato allo stretto ambito giudiziario, la Relazione si spinge addirittura a sottolineare che la mediazione ex officio:
“… Promuove la diffusione della cultura della mediazione come collante sociale, non solo per la riattivazione di una comunicazione interrotta tra le parti del conflitto, ma anche per la generale condivisione dei valori dell’autonomia, della consapevolezza e della responsabilità. Avvicina il cittadino alla giustizia, perché lo rende finalmente partecipe delle modalità di risoluzione del conflitto e fiducioso dell’adeguatezza di tale servizio rispetto alle sue esigenze. Promuove il progresso delle professioni dedicate al conflitto nella odierna complessità delle relazioni interpersonali, con la valorizzazione delle competenze dell’avvocato, parte necessaria delle procedure di mediazione. Sollecita, inoltre, il cambiamento della cultura di tutti gli operatori della giustizia con l’acquisizione di competenze più specifiche in ordine alla condizioni di medi abilità del contenzioso. Assicura, infine, la deflazione del contenzioso giudiziale con conseguente ottemperanza al principio di ragionevole durata del processo, risposta celere alle parti in lite, riduzione dei costi della giustizia, più elevata efficienza del servizio e maggior fiducia da parte dell’utenza …”.
Non si tratta, però, solo di parole e di buoni propositi, perché:
“… I dati ministeriali suffragano questa prospettiva, laddove sottolineano gli importanti traguardi raggiunti grazie alle nuove previsioni normative che hanno prodotto rilevanti effetti anche indiretti in termini di conciliazione spontanea e di omessa instaurazione del contenzioso a seguito dell’acquisita consapevolezza delle minime possibilità di accoglimento della pretesa della parte in caso di proposizione giudiziaria della domanda …”.
In sostanza, “importanti traguardi raggiunti …” con “… rilevanti effetti anche indiretti” e l’auspicio di un ulteriore rafforzamento della mediazione per una svolta culturale, nell’interesse dell’utenza, dei professionisti e del servizio giustizia.
Un assist prestigioso che Parlamento e Governo sono chiamati a non sprecare.
Come noto, nel progetto di legge di riforma del processo civile, è previsto che vengano eliminate dalle materie sottoposte al tentativo di mediazione (in realtà al primo incontro) quella bancaria e quella relativa alle successioni ereditarie e allo scioglimento di comunioni in generale.
La “colpa” delle prime è di non funzionare; mentre la “colpa” delle seconde è di funzionare troppo bene, dato che vantano un ampio tasso di successo. Non è dato di sapere cosa dovrebbe accadere per le mediazioni bancarie, mentre le seconde (che funzionano benissimo, tanto che spesso si riesce anche a recuperare il rapporto personale tra le parti, grazie all’esperienza di mediatori appositamente formati e costantemente aggiornati), dovrebbero essere affidate a Notai e custodi giudiziari i quali, evidentemente sforniti della necessaria esperienza e non per colpa loro del tutto impreparati nelle fondamentali tecniche di negoziazione, dovrebbero limitarsi a redigere un progetto di divisione e a sottoporlo all’approvazione delle Parti. Queste, naturalmente, nella stragrande maggioranza dei casi lo rifiuteranno, sia perché non avrebbero avuto necessità dell’intervento di un terzo per redigerlo (e quindi non si sarebbero rivolte a questi nuovi “mediatori”), sia perché un asettico progetto di divisione non tiene conto né dei reali interessi delle Parti, né di quelle che sono le emozioni delle stesse, fondamentali in questa materia, e che solo un bravo mediatore riuscirà a far emergere e controllare.
Avrò modo di tornare sull’argomento relativo a questa seconda tipologia di materie, e sui motivi per cui è indispensabile che rimangano nell’ambito della mediazione; oggi vorrei però affrontare, grazie allo spunto che mi ha offerto la bravissima collega e amica Alessandra Grassi, su quanto converebbe anche alle Banche affrontare le controversie in mediazione.
Già in situazioni normali, infatti, per gli istituti di credito rivolgersi al Tribunale, in caso di sofferenze bancarie, significa praticamente perdere tempo e denaro, tanto che spesso questi crediti vengono ceduti a delle aziende che li acquistano, a valori molto inferiori a quelli reali, per cercare di recuperarne almeno una parte, e che spesso concludono accordi a cifre nettamente più basse rispetto a quelle del credito originario.
L’alternativa, come detto, è quella di rivolgersi al Tribunale, con costi importanti e tempi praticamente indefinibili, e con la possibilità (sempre più rilevante) di avere poi un titolo pressoché inutile, poiché ineseguibile per il fallimento o la liquidazione delle persone giuridiche e l’incapienza del patrimonio delle persone fisiche.
A maggior ragione, questa problematica si sta acuendo in questo momento drammatico, in cui la chiusura delle attività disposta ormai da un anno dalle autorità, sta sottraendo liquidità alle imprese (da quelle più piccole a quelle più grandi), con le relative problematiche anche per i rapporti bancari. E secondo il modestissimo parere di chi scrive, gli effetti di queste chiusure indiscriminate devono ancora svilupparsi nel loro modo più grave.
Peraltro, le stesse Banche dovrebbero rendersi finalmente conto, particolarmente in questo lungo e martoriato periodo, di avere un’importantissima funzione sociale, cioè quella di collaborare con le imprese e le famiglie per superare questa gravissima crisi, e che non verrà certamente realizzata mettendole in difficoltà, o facendo fallire (o chiudere) le attività, o pignorando i beni a persone che già non possono lavorare da mesi- Anche perché, in questo modo, si viene a ridurre sensibilmente il numero di possibili clienti delle banche, che in un futuro, una volta superata questa terribile fase, potrebbero decidere di ricorrere al credito bancario per riprendere le loro attività o per iniziarne di nuove.
Quale soluzione potrebbe esserci, quindi, in alternativa a quanto sopra accennato? L’unica soluzione praticabile è quella della mediazione, che potrebbe dare (e spesso dà) ottimi risultati se avviata direttamente dalle Banche, senza attendere che la situazione debitoria del cliente sia ormai irrecuperabile. Come dice la bravissima Alessandra Grassi, “le banche devono necessariamente abbandonare la logica della mera contrapposizione rispetto al creditore inadempiente”; anche perchè spesso, in questo tremendo momento storico, questi non ne ha alcuna colpa.
Portarlo ad una “soluzione” che tale non è, cioè l’esecuzione nei suoi confronti, non ha molto senso, sia perché spesso non porta ad un risultato utile, sia perchè “uccide” quello che, con un buon accordo, potrebbe essere ancora, e per anni, un buon cliente.
Ricordiamo che la procedura di mediazione, oltre ad avere dei costi irrisori, ha una serie di vantaggi importanti:
Tutti questi elementi consentono alle Banche di risolvere rapidamente questioni importanti ma anche di livello economico minore (ma sempre molto importanti per le Parti), in modo rapido ed efficace; ma soprattutto, con la mediazione, si può salvaguardare il rapporto, e far sì che l’odierno debitore, invece di subire danni irreparabili, rimanga un cliente affezionato, che in futuro usufruisca nuovamente del sistema bancario.
Per maggiori informazioni: www.adrcenter.com, organismo iscritto al n. 1 dell’apposito Registro presso il Ministero della Giustizia.
Dire che sono stufo, dopo oltre 3.500 mediazioni, del comportamento di alcuni Colleghi, non è abbastanza.
Spesso, infatti, in mediazione alcuni Colleghi avvocati (una mia carissima amica e Collega vera li definirebbe “coiscritti”) dimenticano di avere di fronte un professionista come loro, spesso un collega; e trattano la sua – fondamentale – opera senza alcun rispetto, per il suo lavoro e per la sua persona, pretendendo di sfruttare comunque il suo operato, ma gratuitamente. Fino a quando questo comportamento è della parte (ma succede meno spesso rispetto ai colleghi), posso capirlo anche se non giistificarlo. Ma quando proviene da un legale è intollerabile e al limite dell’illecito deontologico.
Racconto, ad esempio, un episodio capitato ad una bravissima collega, molto migliore di me:
“Divisione immobiliare tra sorelle che si sono parlate fino a nemmeno un anno fa, quindi potenzialmente recuperabile anche il rapporto. Caso di scuola. Inizio a farle parlare, si sfogano l’una con l’altra come è giusto e io le lascio fare per raccogliere più informazioni possibili.
A quel punto il collega di parte istante interrompe ed inizia a dire che è stato anche lui mediatore ed è avvocato da più tempo di me e non condivide il mio approccio che fa sfogare le clienti in un modo che “pare Forum” mentre siamo lì solo per risolvere una questione pratica e basta.
La collega di controparte, anche lei mediatrice, rimane basita e tenta una debole difesa subito zittita. La sua cliente prova a dire qualcosa e viene zittita con un “stia zitta che per lei decido io”.
Proseguiamo comunque in maniera positiva nonostante tutto, arriviamo a discutere di opzioni negoziali, maan e paan e poi mi fermo per invitarli a proseguire nella mediazione anche nominando un CTU.
A quel punto esprime volontà negativa “perché questo incontro ci ha già dato informazioni utili su come chiudere la vicenda e credo che possiamo procedere anche da soli”.
Inutile dire quanto sia stato scorretto e irrispettoso il collega, evidentemente messo di fronte a tecniche di negoziazione che ignorava e desideroso di superare la mediazione, che evidentemente non conosce e che probabilmente ritiene solo un ostacolo; mentre proprio nella materia citata, essa vanta i suoi risultati migliori. Tanto che la collega mediatrice aveva iniziato in modo perfetto, cioè lasciando sfogare le parti nell’intento di ristabilire un canale di comunicazione tra di loro, tanto più in quanto sorelle. Ma evidentemente lui aveva un interesse differente.
Ma quello che mi ha veramente rischiato di farmi dimenticare di essere un mediatore è stato ciò che è successo oggi: due ore di discussione su una complicatissima questione relativa ad un importante contratto di locazione; scambio di proposte e controproposte, precedute da accuse varie sul passato, che solo grazie a calma ed esperienza sono riuscito a far accantonare. Accordo praticamente raggiunto, ma sapete su cosa? Su una mia proposta (informale) che a loro non sarebbe mai venuta in mente. Si decide congiuntamente di rinviare per perfezionare. Naturalmente, a quel punto (due ore e lunghe trattative dopo) do per scontato che si debba formalizzare l’avvenuto ingresso in mediazione. E invece no, direte voi: sei un ingenuo. Infatti, uno dei legali chiede di rinviare il primo incontro, per motivi che non sa nemmeno lui (ma che io so benissimo). A quel punto, l’altra parte prende la palla al balzo e si aggancia, dicendo che secondo lui non abbiamo fatto niente, non contraddetto dal suo legale, che avrebbe dovuto prenderlo a calci sotto il tavolo. Ho contato fino a 50, e poo ho chiarito, con molta educazione, che non solo eravamo entrati nel merito, ma che senza la mediazione non avrebbero mai trovato un accordo, come dimostrato dal fatto che in dieci mesi di trattative dirette non vi erano riusciti. Alla fine, per farli sentire ciò che sono, ho concesso il rinvio di primo incontro.
Alla luce di tutto questo, mi chiedo se il comportamento di alcuni legali, che considerano il tempo del mediatore, che – ripeto – è un professionista come loro e spesso un collega, come un elemento che non merita la minima considerazione e alcuna retribuzione (mentre immagino che loro non vengano in mediazione a gratis, come si dice a Roma), anche alla luce del fatto che ne sfruttano l’opera per concludere accordi che senza il mediatore non avrebbero mai raggiunto, costituisca illecito deontologico. Per me, la risposta è chiarissima e credo che questi comportamenti debbano cessare al più presto. Mi sono ritrovato anche io ad assistere le parti in mediazione, e non farei mai una cosa del genere.
Ciò detto, nemmeno questi comportamenti meschini riusciranno a spegnere la mia passione: vado avanti senza remore, con l’unico desiderio di favorire gli interessi delle parti, e solo i loro. Viva la mediazione, il futuro è nostro, non del Bonafede di turno.
Gli ultimi commenti